C’è un posto lontano dove vanno a finire i pensieri al termine del giorno. Alcuni la chiamano malinconia, altri si abbandonano semplicemente non preoccupandosi delle definizioni e si lasciano alle sue carezze, ascoltandola sussurrare. In questo posto dove non vivono semplicemente le memorie e la nostalgia ma si trasformano i fatti, le repliche dei giorni, in questo posto duro come un sasso dove sedersi al termine di un duello col giorno, si possono incontrare le certezze di cui non si parla a nessuno, le verità dalla testa dura e la saggezza di pochi gesti imparati troppo tempo fa. Nel posto della sera, a sedersi con te ci sono i colori, liberi come non lo sono mai stati prima, perché non li stai vedendo ma li hai dentro, ti stanno scorrendo nelle vene mescolandosi nel rosso del sangue, facendosi verde dei prati e blu delle acque tutte insieme, giallo dei riflessi degli occhi al tramonto o carminio come la pelle sotto l’insegna di quel locale, dove mi aspettavi tutti i venerdì sera, anni fa. In quel posto lontano ci sono i silenzi e le parole sussurrate dei segni, attraverso linee rette o intricatissime, ci sono i rumori che fanno le punte mentre scavano la carta, ci sono piramidi di polvere raccolta a monito di cancellature per troppe distrazioni. Ci sono terre arse che qualcuno ha sbagliato e buttato via e ci sono terre bagnate, rese fertili per le piante o per le mani di qualche inventore. In quei posti dove nessuno sembra vivere veramente ci sono episodi di vite raramente spiegabili con le parole, quindi impossibili da replicare o da mettere in scena. C’è un teatro senza fine a cui non facciamo mai caso, una danza di inchiostri con i quali ci trucchiamo da pagliacci o tessitori di fili da equilibrista. Fili rossi, fili verdi, fili blu e fili gialli. O fili lunghi e scuri, come i capelli sotto l’insegna di quel locale dove mi aspettavi tutti i venerdì sera, anni fa. E dove, a parer mio, potresti ancora trovarti, per quel che io ne so.
20 Febbraio