Ho sempre ritenuto la casa il posto per dare un senso all’esistenza della ceramica. Non il posto giusto ma il suo, è diverso che parlare di spazio o di ambiente. Sì, la ceramica nasce come attrezzatura per la domus, senza ceramica non sarebbero esistiti vasi o scatole per vari usi e funzioni e non sarebbero stati modellati recipienti per l’acqua e l’olio o per la conservazione dei cibi. Senza ceramica non avremmo avuto l’architettura e insomma tante altre cose. Ho sempre pensato che ancora oggi la ceramica dovesse – e potesse – trovare un posto in tutte le nostre case, indistintamente, ma gli usi e i costumi sono cambiati, in ogni parte del mondo. Il debito di riconoscenza all’antico posto della ceramica lo deve la plastica, le materie plastiche in genere se vogliamo, la ceramica è il materiale plastico per eccellenza, quindi non ha a prescindere un valore aulico aggiuntivo, non è scultura, non è <cavare>, anzi, la <modellazione>, la tornitura, era fatta di kéramos, letteralmente terra da vasaio era chiamata l’argilla, quindi nulla a che fare con il togliere, bensì con l’aggiunta esercitata e controllata direttamente con le mani. E questo per ricevere, quindi ancora una volta portare, offrire, donare, conservare, <chiudere dentro>. L’atto conservativo intimo, di e per la sussistenza, l’istinto di celare qualcosa di proprio dentro la ceramica si è evoluto, quindi non sarebbe oggigiorno corretto definire una vera e propria utilità della ceramica per la sussistenza fisica e materiale, non faremmo mai di un manufatto un oggetto <funzionale> in dettaglio, in quanto la tecnologia e altri materiali meno fragili e più durevoli nel tempo ne hanno sancito ad oggi uno <spostamento> d’uso e di percezione tra gli oggetti presenti nelle nostre case.
Tutto ciò però ha donato alla ceramica qualcosa di nuovo, una nuova vita. Dobbiamo solo fare un piccolo sforzo e pensarci, immaginarla per quella che è adesso, comprenderla e darle un nome. Penso ora vi chiederete quale. Oggi molti di noi, progettisti, produttori, ceramisti in genere e sui generis, pensano che la ceramica non possa più riemergere come oggetto prevalente nella nostra domus ma, dico io, avendo perso molte delle proprie funzioni oggettive – parlo anche di quelle condivise con altre presenze domestiche – ora la ceramica rivive in un’altra sfera, per forza diversa, più alta, spirituale, ne ricava una vera e propria <funzionalità emotiva>. Sì è, insomma, evoluta. La costruzione in ceramica non è più contenitore bensì scrigno, riforma di sé stessi nelle tante forme riconoscibili come proprie già al momento dello rispecchiarsi in essa, specchio dello spirito e dei segreti, raccoglitore di desideri e per il desiderio di dare bellezza e forma al proprio spazio si fa portavoce e prevale nella scelta, insieme ai vetri ad esempio – ecco, altri oggetti con la stessa funzione, concetti spaziali tipicamente emozionali, desiderati. Non vi sembra questa la vera evoluzione? Non è proprio questo il vero perché funzionale delle produzioni degli ultimi tre-quattrocento anni? Ponti, Sottsass, Mangiarotti, Asti, giusto per citarne solo alcuni e tutti i grandi maestri veneti, liguri, toscani e i lombardi tutti, quante produzioni dello spirito e <per> lo spirito possiamo oggi contare, considerando quindi anche solo gli ultimi cinquanta o sessant’anni?
Ecco perché vale la pena fare ceramica ancora oggi, perché la ceramica è un legame spaziale con il proprio spirito, ci si riconosce in essa perché la scegliamo sempre per la necessità di circondarsi di essa ed <in> essa troviamo un nuovo spazio. La ceramica se non dà felicità non serve a nulla.
Ecco perché, da architetto e figlio di ceramica e ceramisti, ho scelto di fare ceramica. E finché disegnerò ceramica indagherò quello spirito diverso delle cose di cui parlavo prima, finché farò questo non commetterò l’errore di sovrappormi ai miei stessi oggetti e a chi li vorrà scegliere per circondarsene o, semplicemente, per viverci accanto.