The Ceramic Tales Picture Show

Pensieri Architettonici, di Stefano Olivieri e Paolo Demo, 2014 – Galleria Browning, Asolo (TV), a cura di Steve Bisson.

Quando mi ritrovo a spiegare cosa faccio e perché lo sto facendo in questo modo, mi pare di stare in teatro. Ma non in un palco qualsiasi, bensì in una di quelle scene in cui tu parli davanti al telone mentre dietro le quinte stanno cambiando ancora una volta la scenografia. Improvvisamente ti fanno cenno che è tutto pronto, si alza il sipario e ti ritrovi in una scena diversa da quella che era in programma. Così cambi il copione, ma sei credibile se dici sempre e solo la verità. Che, intendiamoci, non è che la tua verità, perché il pubblico ti vuole bene e ti riconosce, ma non perdona se fai la cazzata di cambiare troppe volte il copione.

Questa la metafora della mia vita a spiegare cose, ‘che poi a saperle fare è lo stesso paio di maniche, se non fai non spieghi nulla. Ma il bello viene proprio a raccontare quegli episodi che ti hanno portato a fare delle scelte e buttarti nel mondo del disegno sotto la tua diretta e insindacabile responsabilità. Ti rendi conto, infatti, che finora hai rischiato in proprio, ma secondo te “stavi facendo un esperimento”. Esperimento un cavolo, inizi a sfornare (!!!) pezzi che hanno avuto una storia prima di essere realizzati perché disegnati davvero prima, ritentati più volte, proporzionati, curati nei dettagli della geometria e dei rapporti armonici dimensionali, hai ricercato il perché in ogni tratto, affidandoti anche al caso a volte, per poi tornare indietro e riprendere il discorso inceppato, e avanti, avanti ancora fino allo sfinimento. Dura è. Vai avanti e indietro e, nel frattempo, inizi così con l’analisi dei costi, praticamente la crisi più nera. Vorresti non essere mai nato, credetemi che è così. Adesso non stai più solo rischiando, ma anche raschiando (il fondo di qualche doppio fondo di risparmi) e ti palpi il culo per tutto il giorno cercando monetine nelle tasche, prendi la bici o riprendi a fare passeggiate nella speranza di toh! ma guarda che fortuna un centone! Invece no, e trovato il denaro inizi la prototipazione. Fare un prototipo, un modello in questo caso è la verifica se effettivamente sai disegnare. Projectum dicevano i latini, “gettare avanti” (o proiezione, che mi piace di più) e siccome non sei Michelangelo Buonarroti e nemmeno il Bernini, quando vedi il primo modello ti andresti a nascondere (adesso accade con meno frequenza, ma vi assicuro che agli inizi volevo autoannegarmi dentro a qualche colata di gesso) e da lì inizi a fare autocritica seria, la tecnica e soprattutto l’esperienza di chi ti segue la modellazione sono aspetti vitali per te e per il futuro pezzo da tenere in mano.

Quindi tutto è gestazione, si ritorna ancora al disegno, al rispetto dell’idea originale, se cambi idea fai altro. Tutto lì. Capita, ma ti rimetti al lavoro sulla carta. Poi il tempo passa e passi anche tu le fasi dell’affinamento della forma, tutto va in forma a verifica della tua immaginazione. A volte ti sorprende per i risultati inaspettati, fino a produrre i primi crudi e a ritoccarne i dettagli per non perdere sempre quei segni a cui tieni tanto e che immagini di lasciare in mano a chi li vorrà apprezzare. Finisce così che finalmente tutto ha inizio. E’ bello questo teatro del mondo – un po’ alla Aldo Rossi – porti in tournée il tuo racconto perché di questo si tratta. Ogni pezzo è un frammento significativo, voluto, della tua ricerca, quella cosa per cui hai iniziato a studiare e ti sei fatto un mazzo tanto sui libri e sulla pratica. Ogni pezzo ne ha da raccontare, necessita di silenzio, ma quando arrivano le domande allora ricordi tutti i perché, ed è bello dire sempre con parole diverse ciò che rivivi dei momenti passati a inventare e costruire la sua (e la tua) storia. 

La ceramica ha una grande storia, il mio lavoro per essa spero un giorno ne potrà entrare anche solo in piccola parte, ma avere la sicurezza, ormai, che rimarrà in qualche casa mi rende felice e mi fa pure sperare di vedere molte altre persone felici di volerla accanto per la storia che racconta, per le ragioni del progetto, per le situazioni che può creare ambientandola di volta in volta in spazi diversi della vita do ognuno di noi.
La ceramica, se non dà felicità, non serve a nulla, rimane un modo per ritrovare una parte di sé stessi e tenersela finalmente stretta, fino a tramandarla poi a chi ti ami e ti ama, in un rito di passaggio tra la vita e la morte e un’altra vita ancora e così via fino a non perdere mai la traccia del suo racconto. Fino a non perdere mai il copione della sua storia, in quel palco sempre in cambiamento che è la sua trasformazione in realtà, nella mia come in quella degli altri. La storia va avanti, io sono solo un cantastorie, mi so trasformare bene ma tengo ben salde le mie radici, con la testa sempre e rigorosamente per aria.

 

 

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